La figlia del capitano


Agevole romanzo storico, si colloca perfettamente nell'Ottocento europeo e nel suo sistema tradizionale di valori: onore, valore militare, famiglia, amore, nobiltà d'animo. Figlio del suo tempo anche nella trama, con l'eroe puro che passa indenne attraverso travagli personali e storici.
Un'interessante chiave di lettura è sicuramente quella del romanzo di crescita, in cui l'eroe si forma e raggiunge la maturità forgiato dalle peripezie che attraversa, con una bonaria riflessione didattica a latere, in cui il suo aio e domestico rivendica la rozza genuinità dei propri metodi, nei confronti di quelli sofisticati e inconcludenti del precettore francese, che nelle sue sbronze presto sostituisce la vodka al vino.
Curiosa è la figura femminile dell'eroina, che dapprima è ingenua e sottomessa (a padre, madre, pretendente e genitori di lui, persino), ma poi si scopre essere colei che ha l'idea risolutrice finale: colei che chiede ed ottiene l'intervento salvifico definitivo del sovrano. A questo proposito, è notevole la somiglianza con "Il tulipano nero" di Dumas padre (pubblicato pochi anni dopo), che narra vicende simili e si avvale della stessa formula risolutiva, messa in atto da un identico modello di eroina.
Il linguaggio scorrevole e fortemente descrittivo ci trasporta facilmente nella Russia affascinante di steppe e tormente di neve, in cui troviamo confortevole rifugio nella vittoria dei buoni. Davvero non possiamo chiedere di più ad un romanzo.

Consigliato a chi pensa che la Russia sia lontana.

La figlia del capitano
Aleksandr Puskin
Rizzoli
Milano 2010
203 pagine

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