Il giorno della civetta


Quando un artista usa il proprio linguaggio espressivo per mettersi al servizio del sociale, allora bisogna inchinarsi e rendergli l'onore che merita. Questo è indubbiamente il caso di Leonardo Sciascia, che nel 1961 ebbe il coraggio di pubblicare con Einaudi un racconto -tale lo definì lui stesso- che denunciava in modo pacato ma fermo l'esistenza della mafia in Sicilia, negata invece dalla classe politica italiana dell'epoca.
La trama sembra ormai banale ai nostri occhi, tanti sono stati i successivi libri e film (per non parlare degli sceneggiati televisivi) sul tema: un Capitano dei Carabinieri  venuto dal nord si illude di risolvere una serie di crimini riconducibili alla malavita organizzata; viene per questo sollevato dall'incarico ma mantiene forte il proposito di tornare in Sicilia per continuare a lottare con onestà e abnegazione. Resta invece immutato nei decenni il valore artistico dell'opera, agile nella lettura, perfetta nelle dinamiche e nelle psicologie dei personaggi, esente da retoriche e ricca di atmosfere.
Ci si potrebbe chiedere che senso ha oggi una tale lettura, per noi che ormai siamo più che sensibilizzati a queste tematiche: ebbene, crediamo che abbia ancora più valore adesso che negli anni scorsi, perché ci scuote dalla banalità del male che abbiamo imparato sì a condannare, ma anche ad accettare. Paradossalmente, la mafia è ormai un'entità mitica, una sorta di 'cattivo nazionale' che sentiamo di dover combattere come il buco nell'ozono e il disboscamento selvaggio. Sciascia la mostra invece all'opera nel quotidiano, dove deve necessariamente stare la chiave per la sua risoluzione.

Consigliato agli idealisti.

Il giorno della civetta
Leonardo Sciascia
Adelphi La Nuova Italia
1993
199 pagine

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