Inconnu à cette adresse (Destinatario sconosciuto)


Romanzo epistolare pubblicato nel 1938, conobbe successo immediato negli Stati Uniti, fu censurato e dimenticato in Europa per poi essere tradotto in francese nel 1999 e conoscere così una enorme fortuna, ispirare un adattamento cinematografico ed uno teatrale. Avremmo voglia di discutere a lungo delle ragioni che portano l'Europa a riaprire di continuo le ferite della Seconda Guerra Mondiale, a sporgersi sull'orlo di un pozzo da cui è appena risalita, per vedere quanto sia in effetti rischioso cadere giù di nuovo, al traino dei partiti estremisti che prendono piede. Ci limiteremo invece a parlare di questo breve romanzo e dei suoi piccoli personaggi banali a cui è dato il ruolo di giocare alla Storia.
Il carteggio si svolge tra un ebreo americano e un tedesco suo vecchio amico e socio in affari, che è tornato in patria e vive in prima persona l'avvento di Hitler al potere, con tutte le immaginabili conseguenze del caso. Da elogiare la scrittura netta come una cucina appena lavata, tipicamente femminile almeno quanto la lungimiranza di pubblicare una storia simile un anno prima dello scoppio del conflitto mondiale. Sì, l'autore è donna, ma  su consiglio del marito si presentò al pubblico con nome maschile (di nuovo: vogliamo davvero meravigliarci  ancora di questo genere di episodi?).
Resta un aspetto di cui vale la pena discorrere: la vendetta feroce e spietata, lucida e facilissima, messa in atto da uno dei protagonisti. All'apparenza assurda e invece tratta da una storia vera, ci dona l'unica attuale riflessione del romanzo: in tempi bui e difficili, anche ai personaggi piccoli è data facoltà di fare idiozie grandi.

Consigliato a chi ama pigiare il dito sul livido pur sapendo che farà male.

Inconnu à cette adresse
Kressmann Taylor
Editions Autrement Littératures
Parigi 1999
60 pagine

, 1 Comment

Jean de Florette


Viaggio nella Francia rurale di inizio secolo: un sud fatto di vecchi al bar, cicale e un pugno di mandorle da portare in dono ai vicini. Sono appunto due famiglie con le proprietà confinanti le protagoniste di questa prima parte del dittico L'eau des collines: i Soubeyran orgogliosi e rispettati da un lato e un ereditiero gobbo istruito e sconosciuto dall'altro. Le due famiglie sono connesse: il vecchio scapolo Cesar, in gioventù aveva corteggiato a lungo Florette, la ormai defunta madre del gobbo, la quale aveva invece scelto di sposarsi nel paese accanto facendo perdere le sue tracce; in parte per vendetta, in parte per interesse personale, con una serie di astuzie e qualche anno di pazienza punta a far scontrare il giovane cittadino e la sua famigliola in germoglio, con le durezze della campagna, in modo da far acquistare le loro terre a suo nipote, erede di una gloriosa stirpe che però porta in sé il seme della follia.
Altra protagonista assoluta è l'opinione pubblica paesana, che qui ha il ruolo del coro nelle tragedie greche: commenta i fatti, porta notizie, giudica comportamenti. La descrizione dei personaggi si fonda dunque su tre punti: il loro modo di rapportarsi al paese, la loro intimità casalinga e i loro tratti fisici salienti; questi ultimi contribuiscono a costruire una sorta di commedia dei personaggi e delle maschere, in cui avere i capelli rossi è simbolo di malafede e una gobba è una punizione divina. La saggezza popolare della campagna e la sorda modernità cittadina si affrontano così attraverso personaggi fortemente caratterizzati, in uno scenario naturale di superba bellezza e ruvida semplicità.
Questo classico della vasta produzione di Marcel Pagnol, trova la sua estrema popolarità (anche grazie al film da esso tratto, interpretato da Montand, Depardieu, Auteuil) nel suo valore simbolico e didattico di fiaba umana senza tempo, che lo avvicina ai racconti dei nostri nonni contadini.
[La seconda parte è Manon des sources.]

Consigliato a chi ama ascoltare i pettegolezzi di paese.

Jean de Florette
Marcel Pagnol
Edition de Fallois
2005
316 pagine

, 0 Comments

Mercure (Mercurio)


L'amore è gioia, l'amore rende liberi. Balle: l'atto amoroso nasce dall'egoismo, dalla voglia di tenere nascosto l'oggetto del proprio desiderio, di proteggerlo dagli sguardi altrui e dal rischio di perderlo. Questo almeno secondo la Nothomb, che con la sua consueta disinvoltura di personaggi e di trame, ci trasporta in un'isola fuori dal tempo e dalla geografia, dove un vecchio tiene prigioniera una ragazza deforme che lui stesso ha strappato dalle braccia della morte; un'infermiera bella e piena di senso pratico viene chiamata dalla terraferma per prendersi cura della piccola sfigurata, e scopre che tra i due c'è un profondo legame che va ben oltre il rapporto di protezione: inizia così ad addentrarsi nei vischiosi meandri mentali e sessuali della loro torbida storia d'amore, dando vita ad un triangolo ricco di spunti letterari, e di richiami alle note più nascoste e vergognose dei sentimenti che ci gloriamo invece di definire puri.
Restando nel tema dell'amore come possesso, vale la pena notare che il bravo vegliardo va oltre la semplice reclusione, e si cura di negare alla ragazza amata il diritto stesso di autocoscienza, privandola dell'uso di specchi o altre superfici riflettenti per renderla inconsapevole della propria immagine; non bisogna lavorare troppo di fantasia per trasportare questo atteggiamento anche sul piano mentale, poiché è chiaro che la ragazza è circuita ed impossibilitata ad allontanarsi dal suo salvatore e torturatore pur essendo libera di farlo, almeno in teoria. Ancora una volta quindi, la Nothomb ci propone la dualità tra amore e male, facendo dell'amante e dell'aguzzino un unico personaggio, causa prima di bene e di male, indispensabile per la protezione che offre, odioso per la prepotenza con cui la esercita. 
Se questo breve romanzo ci ha turbato infine, non è certo per lo stile impeccabile e ironico, né per il finale che -siamo sicuri- sarà in grado di accontentare tutti con la sua disarmante genialità, ma per l'insolenza con cui ci fa mettere in discussione le nostre stesse relazioni amorose, proponendoci un modello lirico di assoluto pari solo ai dialoghi folli di Addio alle armi e di Cime tempestose (ancora un volta, sì), e ricordandoci che ci vuole fegato sia per essere carceriere che per essere degni della prigionia.

Consigliato a chi è in una "relazione aperta", di quelle che vanno di moda adesso.

Mercure
Amélie Nothomb
Le Livre de Poche
Parigi 1998
189 pagine

, 0 Comments

L'entrata di Cristo a Bruxelles; Senza nome


Due racconti pubblicati dalla rivista Elle rispettivamente nel 2004 e nel 2001, e poi riuniti in questa piccola raccolta del 2008, che danno uno spaccato efficace della scrittura di Amélie Nothomb e fanno venire voglia di leggerne ancora.
Il primo narra di un arrampicatore sociale che si macchia di un atroce delitto in nome dell'eredità, e della sua successiva e bislacca redenzione. Il secondo racconta l'avventura di un uomo qualsiasi che si inoltra nel profondo nord e rinuncia al proprio nome per avere una vita piena d'amore (di più non si può e non si sa dire). Entrambi i racconti sono ben oltre i  limiti dell'assurdo, ma modulano due aspetti diversi dello stesso tema portante: la relazione affettiva che lega due esseri a volte si fonde e confonde con il dolore e con la prigionia. Un tema abusato nella letteratura, eppure la Nothomb riesce a darne visioni originali attraverso tagli particolarissimi: nel primo racconto è il forte senso estetico che detta il ritmo della narrazione, offrendo quadri di un romanticismo ed una perfezione strazianti, come la scena in cui i protagonisti si nutrono di gamberi e birra in fondo al pontile di Ostenda. Nel secondo invece, il tema amoroso è usato come critica alla società che si ostina a rinnegare il proprio lato sentimentale, arrivando così a scoprirsi totalmente assuefatta ad esso già dopo il primo involontario 'assaggio', ed è costretta a soccombere non riuscendo a rinunciarvi.
Lo stile della narrazione è sincero in modo disarmante, crea persino imbarazzo nel lettore. La Nothomb dilata le parole e propone intrecci elaborati e ampiamente argomentati; i personaggi non sono affatto banali, ma riccamente connotati, coerenti alla loro indole psicologica nelle azioni e nei pensieri. In tutto questo trovano spazio anche i giudizi dell'autrice, sempre lucidi, dissacranti e pieni di tutta l'umanità possibile, che proiettano il lettore sull'orlo di un abisso di riflessioni paurose. Una piccola raccolta che scuote, lasciandoci realistiche e impietose descrizioni dell'amore come espiazione e ribellione, quali a nostro avviso non se ne vedevano dai tempi di Cime Tempestose.

Consigliato a chi ha deciso che non vuole più innamorarsi.

L'entrata di Cristo a Bruxelles; Senza nome
Amélie Nothomb
I libri della domenica
Il Sole 24 ORE
Milano 2011
79 pagine

, 1 Comment

Cuore di cane


Scritto nel 1925 ma pubblicato solo postumo per via della censura sovietica, Cuore di cane è da sempre considerato un ritratto insolente della società moscovita post-rivoluzionaria. In effetti ne ha tutti i connotati perché i personaggi non sono altro che grottesche maschere umane ricche di simboli, mentre il cane sembra essere l'unico a possedere un cuore.
La storia assurda è un'operazione chirurgica in cui un famoso luminare impianta ghiandole seminali e ipofisi umane nel cane randagio Pallino, che aveva raccolto morente dalla strada e nutrito fino a farlo diventare un languido cagnone da salotto. Le conseguenze dell'infausto trapianto sono terribili, in quanto l'animale si tramuta in un uomo volgare e infido, il signor Pallinov, senza alcuna educazione né remora, né codice morale. Egli stringe amicizie discutibili ed arriva persino a denunciare il suo creatore, che è rimasto in effetti piuttosto borghese, come foriero di idee e atteggiamenti controrivoluzionari. Facile da qui la lettura dell'ominide come uomo della NEP che parla di 'prendere tutto e dividerlo' ma poi cura i suoi interessi egoistici senza alcun rispetto per amicizie persone o ideali. La soluzione estrema praticata dal medico, dopo innumerevoli tentativi diplomatici, è quella di una contro-operazione, che dunque simboleggia il ritorno alla società tradizionale. 
Tuttavia, Bulgakov non salva neanche l'opulenta borghesia descritta prima e dopo l'intervento: i personaggi che la incarnano sono crapuloni spregiudicati, ridicoli nei loro vizi e nei loro segreti, dei grassi buffoni che si mascherano di cultura e si scambiano complimenti e smancerie a vicenda. Essi vivono in un ambiente altrettanto finto, un teatro di animali impagliati e barattoli con organi da trapiantare, ma diventano magri e sofferenti nel periodo in cui il signor Pallinov dà loro filo da torcere.
Nonostante la sua brevità, questo romanzo risulta piuttosto pesante perché estremamente denso:  il lettore si sente smarrito di fronte a tanta inquietante assurdità, e paradossalmente trova meno indigesti e quasi confortanti gli strampalati ragionamenti del cane prima e dopo la mutazione in uomo. Evidentemente sta in questo l'allegoria finale e definitiva della demenza dell'umanità, che proletaria o borghese che sia, è capace di toccare il fondo della decenza e della rispettabilità. 

Consigliato a chi l'aveva sempre detto che i cani capiscono più degli uomini.

Cuore di cane
Michail A. Bulgakov
Pillole BUR
Milano 2010
169 pagine

, 0 Comments

La strada che va in città


Pubblicato nel 1942, è il primo romanzo di Natalia Ginzburg, che lo firmò con lo pseudonimo di Alessandra Tornimparte. Narra la storia di una ragazza di provincia affascinata dalla città e dalla vita che vi si svolge, della sua crescita come donna e madre, delle scelte che compie e delle loro conseguenze.
Ad una prima intuitiva analisi simbolica, la strada per la città rappresenta il cammino di maturazione compiuto dalla protagonista, ma misura anche la distanza tra il suo mondo di origine e quello a cui ambisce. E' una strada a senso unico, tuttavia: come la giovane Delia, anche gli altri protagonisti restano catturati nelle illusioni cittadine e vivono la permanenza in paese come sofferenza necessaria per poi tornare a percorrere il famoso viale polveroso che li porta verso la libertà. La città è come una tara, un marchio che ciascuno di essi si porta addosso, un vago senso di insofferenza che li condanna a desiderare di più e a non apprezzare ciò che invece possiedono. Non c'è alcuna pretesa di giudizio da parte dell'autrice: i fatti e le sensazioni sono narrati lucidamente ed in modo distaccato, quasi come avvenimenti necessari nell'Italia fascista delle grandi ambizioni covate sotto la brace delle convenzioni sociali.
Il simbolo più forte è infine la strada come illusione di gioventù: anche se tutti i personaggi trovano una collocazione più o meno regolare in città, restano intrisi di un senso di triste e svogliata nostalgia per i tempi spensierati in cui cercavano espedienti e avevano voglia di crescere. Questo segna un ulteriore peggioramento rispetto ai loro precedenti illustri, Gli indifferenti. Mentre Moravia chiude sull'accettazione del compromesso borghese con la vaga speranza di miglioramento, la Ginzburg va oltre e descrive l'inutilità di aver realizzato le proprie aspirazioni, poiché si resta comunque profondamente infelici.

Consigliato a chi non si accontenta mai.

La strada che va in città
Natalia Ginzburg
I libri della domenica
Il Sole 24 ORE
Milano 2011
79 pagine

, 1 Comment

Quando le rette diventano curve. Le geometrie non euclidee


Dire che qualcosa è dritto, retto o diretto dà sempre un senso di stabilità e assoluto, nonché di concretezza. Questa sensazione deriva indubbiamente da secoli di dominio della geometria euclidea, che si basa sulla definizione di concetti elementari come punto, retta, superficie e delle relazioni tra di essi. Eppure nell'apparato euclideo c'è una falla: il famigerato quinto postulato che non è mai stato dimostrato né negato.
Ora, la questione apre scenari molto interessanti: esso dice che per un punto esterno ad una retta passa una sola parallela alla retta data. Negli anni tuttavia non è stato possibile negare neanche che ne passino infinite (almeno due, è la dicitura corretta), o che non ne passi nessuna. Da qui nascono altre due geometrie, rispettivamente iperbolica e ellittica, cioè vari modi di vedere il mondo e rappresentarlo. L'idea più affascinante è quella di un universo eterogeneo, in cui cioè coesistono le varie geometrie e la rappresentazione della realtà avviene attraverso la loro integrazione; il ragionamento è coerente con la diversità e  la ricchezza di forme che ci circondano. Un ulteriore vantaggio delle geometrie non euclidee è stato inoltre quello di fornire i modelli e gli strumenti di calcolo per teorie fisiche che altrimenti non avrebbero avuto la forma elegante e chiara con la quale le conosciamo: una su tutte la relatività di Einstein, che si basa sulla geometria di Reimann per spiegare la curvatura della spaziotempo.
Tutto questo nei primi quattro capitoli del libro, ai quali se ne aggiungono altrettanti che invece hanno poco di interessante perché parlano di troppi argomenti senza scendere nel dettaglio né tantomeno darne una panoramica organica. E' vero, le applicazioni della geometria sono molte e disparate, ma ripetere i concetti o girare intorno ad argomenti caldi senza mai affrontarli davvero, non sono certo metodi per accattivarsi la simpatia e l'interesse dei lettori, soprattutto perché si perdono di vista le geometrie non euclidee, cioè l'argomento del saggio.
Dunque, lodevole la scelta dell'argomento, ma dimezzando la lettura si ottengono gli stessi risultati. A quanto pare questo sta diventando il postulato della collana Mondo matematico. Chissà cosa ne avrebbe pensato Euclide!

Consigliato a chi ama le curve morbide.

Quando le rette diventano curve. Le geometrie non euclidee
Joan Gomez Urgellés
Collana Mondo matematico, RBA
Milano 2011
151 pagine

, 0 Comments