L'entrata di Cristo a Bruxelles; Senza nome


Due racconti pubblicati dalla rivista Elle rispettivamente nel 2004 e nel 2001, e poi riuniti in questa piccola raccolta del 2008, che danno uno spaccato efficace della scrittura di Amélie Nothomb e fanno venire voglia di leggerne ancora.
Il primo narra di un arrampicatore sociale che si macchia di un atroce delitto in nome dell'eredità, e della sua successiva e bislacca redenzione. Il secondo racconta l'avventura di un uomo qualsiasi che si inoltra nel profondo nord e rinuncia al proprio nome per avere una vita piena d'amore (di più non si può e non si sa dire). Entrambi i racconti sono ben oltre i  limiti dell'assurdo, ma modulano due aspetti diversi dello stesso tema portante: la relazione affettiva che lega due esseri a volte si fonde e confonde con il dolore e con la prigionia. Un tema abusato nella letteratura, eppure la Nothomb riesce a darne visioni originali attraverso tagli particolarissimi: nel primo racconto è il forte senso estetico che detta il ritmo della narrazione, offrendo quadri di un romanticismo ed una perfezione strazianti, come la scena in cui i protagonisti si nutrono di gamberi e birra in fondo al pontile di Ostenda. Nel secondo invece, il tema amoroso è usato come critica alla società che si ostina a rinnegare il proprio lato sentimentale, arrivando così a scoprirsi totalmente assuefatta ad esso già dopo il primo involontario 'assaggio', ed è costretta a soccombere non riuscendo a rinunciarvi.
Lo stile della narrazione è sincero in modo disarmante, crea persino imbarazzo nel lettore. La Nothomb dilata le parole e propone intrecci elaborati e ampiamente argomentati; i personaggi non sono affatto banali, ma riccamente connotati, coerenti alla loro indole psicologica nelle azioni e nei pensieri. In tutto questo trovano spazio anche i giudizi dell'autrice, sempre lucidi, dissacranti e pieni di tutta l'umanità possibile, che proiettano il lettore sull'orlo di un abisso di riflessioni paurose. Una piccola raccolta che scuote, lasciandoci realistiche e impietose descrizioni dell'amore come espiazione e ribellione, quali a nostro avviso non se ne vedevano dai tempi di Cime Tempestose.

Consigliato a chi ha deciso che non vuole più innamorarsi.

L'entrata di Cristo a Bruxelles; Senza nome
Amélie Nothomb
I libri della domenica
Il Sole 24 ORE
Milano 2011
79 pagine

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Cuore di cane


Scritto nel 1925 ma pubblicato solo postumo per via della censura sovietica, Cuore di cane è da sempre considerato un ritratto insolente della società moscovita post-rivoluzionaria. In effetti ne ha tutti i connotati perché i personaggi non sono altro che grottesche maschere umane ricche di simboli, mentre il cane sembra essere l'unico a possedere un cuore.
La storia assurda è un'operazione chirurgica in cui un famoso luminare impianta ghiandole seminali e ipofisi umane nel cane randagio Pallino, che aveva raccolto morente dalla strada e nutrito fino a farlo diventare un languido cagnone da salotto. Le conseguenze dell'infausto trapianto sono terribili, in quanto l'animale si tramuta in un uomo volgare e infido, il signor Pallinov, senza alcuna educazione né remora, né codice morale. Egli stringe amicizie discutibili ed arriva persino a denunciare il suo creatore, che è rimasto in effetti piuttosto borghese, come foriero di idee e atteggiamenti controrivoluzionari. Facile da qui la lettura dell'ominide come uomo della NEP che parla di 'prendere tutto e dividerlo' ma poi cura i suoi interessi egoistici senza alcun rispetto per amicizie persone o ideali. La soluzione estrema praticata dal medico, dopo innumerevoli tentativi diplomatici, è quella di una contro-operazione, che dunque simboleggia il ritorno alla società tradizionale. 
Tuttavia, Bulgakov non salva neanche l'opulenta borghesia descritta prima e dopo l'intervento: i personaggi che la incarnano sono crapuloni spregiudicati, ridicoli nei loro vizi e nei loro segreti, dei grassi buffoni che si mascherano di cultura e si scambiano complimenti e smancerie a vicenda. Essi vivono in un ambiente altrettanto finto, un teatro di animali impagliati e barattoli con organi da trapiantare, ma diventano magri e sofferenti nel periodo in cui il signor Pallinov dà loro filo da torcere.
Nonostante la sua brevità, questo romanzo risulta piuttosto pesante perché estremamente denso:  il lettore si sente smarrito di fronte a tanta inquietante assurdità, e paradossalmente trova meno indigesti e quasi confortanti gli strampalati ragionamenti del cane prima e dopo la mutazione in uomo. Evidentemente sta in questo l'allegoria finale e definitiva della demenza dell'umanità, che proletaria o borghese che sia, è capace di toccare il fondo della decenza e della rispettabilità. 

Consigliato a chi l'aveva sempre detto che i cani capiscono più degli uomini.

Cuore di cane
Michail A. Bulgakov
Pillole BUR
Milano 2010
169 pagine

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La strada che va in città


Pubblicato nel 1942, è il primo romanzo di Natalia Ginzburg, che lo firmò con lo pseudonimo di Alessandra Tornimparte. Narra la storia di una ragazza di provincia affascinata dalla città e dalla vita che vi si svolge, della sua crescita come donna e madre, delle scelte che compie e delle loro conseguenze.
Ad una prima intuitiva analisi simbolica, la strada per la città rappresenta il cammino di maturazione compiuto dalla protagonista, ma misura anche la distanza tra il suo mondo di origine e quello a cui ambisce. E' una strada a senso unico, tuttavia: come la giovane Delia, anche gli altri protagonisti restano catturati nelle illusioni cittadine e vivono la permanenza in paese come sofferenza necessaria per poi tornare a percorrere il famoso viale polveroso che li porta verso la libertà. La città è come una tara, un marchio che ciascuno di essi si porta addosso, un vago senso di insofferenza che li condanna a desiderare di più e a non apprezzare ciò che invece possiedono. Non c'è alcuna pretesa di giudizio da parte dell'autrice: i fatti e le sensazioni sono narrati lucidamente ed in modo distaccato, quasi come avvenimenti necessari nell'Italia fascista delle grandi ambizioni covate sotto la brace delle convenzioni sociali.
Il simbolo più forte è infine la strada come illusione di gioventù: anche se tutti i personaggi trovano una collocazione più o meno regolare in città, restano intrisi di un senso di triste e svogliata nostalgia per i tempi spensierati in cui cercavano espedienti e avevano voglia di crescere. Questo segna un ulteriore peggioramento rispetto ai loro precedenti illustri, Gli indifferenti. Mentre Moravia chiude sull'accettazione del compromesso borghese con la vaga speranza di miglioramento, la Ginzburg va oltre e descrive l'inutilità di aver realizzato le proprie aspirazioni, poiché si resta comunque profondamente infelici.

Consigliato a chi non si accontenta mai.

La strada che va in città
Natalia Ginzburg
I libri della domenica
Il Sole 24 ORE
Milano 2011
79 pagine

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Quando le rette diventano curve. Le geometrie non euclidee


Dire che qualcosa è dritto, retto o diretto dà sempre un senso di stabilità e assoluto, nonché di concretezza. Questa sensazione deriva indubbiamente da secoli di dominio della geometria euclidea, che si basa sulla definizione di concetti elementari come punto, retta, superficie e delle relazioni tra di essi. Eppure nell'apparato euclideo c'è una falla: il famigerato quinto postulato che non è mai stato dimostrato né negato.
Ora, la questione apre scenari molto interessanti: esso dice che per un punto esterno ad una retta passa una sola parallela alla retta data. Negli anni tuttavia non è stato possibile negare neanche che ne passino infinite (almeno due, è la dicitura corretta), o che non ne passi nessuna. Da qui nascono altre due geometrie, rispettivamente iperbolica e ellittica, cioè vari modi di vedere il mondo e rappresentarlo. L'idea più affascinante è quella di un universo eterogeneo, in cui cioè coesistono le varie geometrie e la rappresentazione della realtà avviene attraverso la loro integrazione; il ragionamento è coerente con la diversità e  la ricchezza di forme che ci circondano. Un ulteriore vantaggio delle geometrie non euclidee è stato inoltre quello di fornire i modelli e gli strumenti di calcolo per teorie fisiche che altrimenti non avrebbero avuto la forma elegante e chiara con la quale le conosciamo: una su tutte la relatività di Einstein, che si basa sulla geometria di Reimann per spiegare la curvatura della spaziotempo.
Tutto questo nei primi quattro capitoli del libro, ai quali se ne aggiungono altrettanti che invece hanno poco di interessante perché parlano di troppi argomenti senza scendere nel dettaglio né tantomeno darne una panoramica organica. E' vero, le applicazioni della geometria sono molte e disparate, ma ripetere i concetti o girare intorno ad argomenti caldi senza mai affrontarli davvero, non sono certo metodi per accattivarsi la simpatia e l'interesse dei lettori, soprattutto perché si perdono di vista le geometrie non euclidee, cioè l'argomento del saggio.
Dunque, lodevole la scelta dell'argomento, ma dimezzando la lettura si ottengono gli stessi risultati. A quanto pare questo sta diventando il postulato della collana Mondo matematico. Chissà cosa ne avrebbe pensato Euclide!

Consigliato a chi ama le curve morbide.

Quando le rette diventano curve. Le geometrie non euclidee
Joan Gomez Urgellés
Collana Mondo matematico, RBA
Milano 2011
151 pagine

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Pugni


Il giovane Pietro Grossi debutta tra i narratori contemporanei senza mostrare alcuna incertezza, con un trittico di racconti che spiazzano: tre pugni, appunto. Proprio il tema dell'esordio è il filo conduttore di questo agile libro, omaggiato dalla prestigiosa casa editrice Sellerio che lo ha annoverato tra i 20 titoli significativi della collana La rosa dei venti, edita in occasione del suo quarantesimo anniversario di attività.
Tre storie di iniziazione, che parlano della fretta di crescere e della voglia poi di tornare indietro, per paura di essere inadatti, o per stanchezza. Il primo racconto, Boxe, è un omaggio alla nobile arte, simbolo della vita stessa. Il protagonista è un ragazzetto che sa di avere i numeri giusti per essere un campione e cerca conferme nel tanto agognato primo (e unico) incontro, durante il quale impara a suon di pugni dati e ricevuti che il talento e l'affermazione non sono doni naturali come nelle favole, ma vanno integrati dalla consapevolezza e dalla maturità necessaria a gestirli. Il secondo racconto, Cavalli, confronta due fratelli e i loro modi totalmente diversi di crescere, simboleggiati questa volta dall'uso che ciascuno di essi fa del cavallo ricevuto in dono dal padre: uno si spinge fino in città per vivere avventure inenarrabili (ed in effetti si parla di lui solo quando riappare sporadicamente in paese), l'altro resta nella casa paterna a lavorare e a costruire caparbiamente un futuro solido e rassicurante. Il terzo racconto infine, Scimmia, narra della tentazione di sfuggire alle responsabilità e alle delusioni attraverso la pazzia: un amico del protagonista si è messo a fare la scimmia, e davanti a questa amara rinuncia lui non può far altro che sentirsi tentato, e provare a non pensarci. 
La scelta di uno stile asciutto e sincero è lodevole per un esordiente che ha il coraggio di non tradire la propria indole narrativa, proponendo intrecci tutt'altro che facili, personaggi originali ed un linguaggio misurato e non ammiccante. L'opera sarà apprezzata per le riflessioni che propone, non certo per gli sconti che concede. Tra i pregi di Grossi è giusto citare anche la ricchezza delle ambientazioni: serena e introversa la prima, scandita dalle sequenza di colpi sul ring; aperta e di ampio respiro quella di Cavalli, che è una ballata western senza tempo né spazio definiti; decadente e sudata la terza, lucidamente nervosa come fosse un Amleto scritto da John Fante. 
Proprio a causa delle loro diverse impostazioni, risulta difficile giudicare quale sia il migliore dei tre racconti: il consiglio è di goderli così come sono, completando intimamente i finali lasciati volutamente sospesi di fronte alle scelte.

Consigliato ai Peter Pan.

Pugni
Pietro Grossi
Sellerio editore
Palermo 2006
219 pagine

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La Compagnia dei Celestini


Quarto romanzo di Stefano Benni, che già nel 1992 inscenava una satira pungente sull'Italia e sulla sua vocazione alla santità tra disastri, perbenismi e miseri giochi di potere.
La storia si snoda con una doppia trama: quella portante come delirio onirico di quella secondaria, poco elaborata e altamente simbolica, che dà senso al tutto. Occhio-di-gatto è un bambino fuggito dall'orfanatrofio, riacciuffato e mandato in riformatorio, ma è anche una delle incarnazioni del Grande Bastardo, protettore dei barboni, degli orfani e degli spiantati. Questa la trama secondaria sviluppata solo attraverso brevi interludi alla fine di ciascuna delle dieci parti di cui si compone la storia principale, la quale invece narra le peripezie di tre orfani: fuggiti dalle grinfie del loro poco ortodosso tutore Don Biffero, attraversano pericoli, fanno nuovi amici, ne perdono altri ed infine prendono parte al leggendario campionato mondiale di pallastrada. Tra i loro nemici più accaniti c'è appunto il vizioso pretonzolo dell'ordine degli Zopiloti, c'è il capo di stato di Gladonia e addirittura l'esercito; dalla loro parte invece stanno i puri di cuore e gli indigenti, il Grande Bastardo e qualche tocco magico. Su tutta la vicenda aleggia una misteriosa profezia, il cui significato non sarà svelato fino alla fine epico-biblica della vicenda.
Se da un lato è facile trarre una storia per bambini dal romanzo (che difatti ha liberamente ispirato due stagioni di cartoni animati per la TV), dall'altro si è portati a riflettere sul suo pesante taglio politico, in cui il nome dell'Egoarca Mussolardi (che vive su un elicottero privato e possiede dodici televisioni) parla da solo per se stesso e per tutto ciò che rappresenta, sia in termini di critica al presente, che come prospettiva catastrofica di scenari futuri. 
Nessuno dei moltissimi personaggi è particolarmente approfondito, né potrebbe esserlo poiché la storia ha un forte timbro corale dal quale non si può prescindere: a ragione molti hanno pensato di leggervi il duello atavico tra il bene e il male, che prendono corpo in figure bislacche e indefinibili, quali solo la fantasia di Benni può creare. Non tutti i bambini sono buoni e non tutti gli adulti sono antagonisti, sono ammessi redenzione, perdono e vendetta, fantasmi e fast food, ossari e macchine volanti, come in ogni buon dipinto dell'Italia che si rispetti. Eppure nella battaglia finale si trascende dal Belpaese e i simboli si purificano e diventano assoluti, elevando così il romanzo da farsa ridanciana a triste parabola della storia.

Consigliato ai Santi, ai Poeti e ai Navigatori.

La Compagnia dei Celestini
Stefano Benni
Feltrinelli
Milano 1992
286 pagine


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La metamorfosi


La metamorfosi per antonomasia, l'arcinota storia del povero Gregor Samsa, commesso viaggiatore che si sveglia mutato in un gigantesco insetto, qui riproposta dal Sole 24 ORE nella collana I racconti d'autore ad un prezzo popolare. E' una ghiotta occasione per far arrivare in ogni casa questo grande classico dell'assurdo.
Seppur breve, il racconto si presta a numerose interpretazioni; tuttavia il tema principale è di sicuro l'alienazione dell'individuo, il quale riesce ad integrarsi solo se conforme alle regole: il protagonista non mostra di gradire il proprio lavoro di commesso viaggiatore, anzi ne risulta piuttosto provato, ma è consapevole che sostentare la sua famiglia è l'unica via per essere considerato e rispettato. Se da un lato la società prova ribrezzo e repulsione per il diverso e cerca di sbarazzarsene, è interessante notare come dall'altro lato il protagonista stesso sia consapevole di aver disubbidito (seppur involontariamente) alle leggi perbeniste del vivere sociale e se ne faccia una colpa. Alla scoperta della propria metamorfosi il primo pensiero va infatti ai suoi doveri, e tenta di nascondere la nuova condizione ai suoi parenti per reintegrarsi al più presto nel corso naturale della sua scialba quotidianità.
La storia della triste mutazione è contestualizzata in un ambiente domestico e sociale già di per sé degradante, di cui amplifica ulteriormente la disperazione: si può infatti considerare il macabro avvenimento come un setaccio che fa passare solo i tratti caratteriali più puri di ciascuno dei personaggi, liberandoli dalle convenzioni e dai compromessi del vivere comune. La sorella dunque svela il suo animo capriccioso e volubile, il padre la rabbia e la madre pietà e debolezza profondissime. Così la famiglia, fondata su rapporti inadeguati a sopportare a supportare l'individuo, non riesce a gestire la nuova condizione di Gregor e non ha altra scelta che sperare nella sua rapida morte, per evitare lo scandalo e ricomporre l'equilibrio domestico.
La popolarità del racconto e la sua attualità trovano fondamento nei sentimenti che continua a suscitare anche in noi lettori moderni: dopo l'incredulità iniziale che cede il passo alla rabbia verso i familiari ottusi e disumani, ciò che più ci fa riflettere è scoprirsi a desiderare che l'increscioso incidente abbia fine, una qualsiasi, anche la più tragica. La morale non riguarda il nostro atteggiamento nei confronti dei diversi che incontriamo, ma piuttosto il nostro terrore di essere considerati diversi. Ci vergognamo di  aver tradito i nostri ideali liberali ed egalitari rallegrandoci che la sorte dell'escluso non sia toccata proprio a noi. Allora il racconto ci serva da monito: il confine tra l'integrazione e l'emarginazione è sottile e troppo facile da attraversare.

Consigliato a chi ama le sorprese al risveglio.

La metamorfosi
Franz Kafka
I libri della domenica
Il sole 24 ORE
79 pagine

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L'enigma di Fermat. Una sfida lunga tre secoli


Ancora un centro per la RBA e la collana Mondo matematico, che questa volta presenta una matematica di sfida e di ricerca. E' la storia di uno dei teoremi più semplici ed eleganti mai formulati, che però non ha avuto dimostrazione se non dopo tre lunghi secoli di tentativi inutili.
Il libro si apre con una prima parte introduttiva alle problematiche della numerologia e delle cosiddette terne pitagoriche, ma avrebbe potuto farlo in modo più agile ed utile, senza appesantire la lettura con superficiali e dunque inutili approfondimenti. L'impressione è quella di un contenuto stiracchiato per raggiungere il numero di pagine delle altre pubblicazioni della collana.
Un altro piccolo errore di impostazione sta nell'aver calcato troppo la mano sul lato misterioso e inarrivabile della dimostrazione: la bellezza di una formula matematica sta soprattutto nel suo potere sintetico, che racchiude le leggi della vita in pochi simboli. Non serve certo un apparato misterico per esaltarne le implicazioni suggestive ed universali: questo tipo di sovrastrutture porta soltanto ad una commercializzazione della materia, rendendola fruibile agli amanti dei complotti e degli intrighi, ma allontanando le menti scientifiche. Sicuramente l'intento editoriale è puramente divulgativo, ma se si può chiudere un occhio su alcune dimostrazioni sommarie, non si può perdonare il fastidio di leggere la storia del pensiero matematico come se fosse uno dei best seller tanto in voga al momento.
Il libro tuttavia si riprende abbondantemente nella seconda parte, che presenta la figura di Pierre de Fermat come un umile avvocato con la passione dei numeri, che si divertiva a mandare lettere ai suoi contemporanei per proporre loro quesiti matematici; stiamo parlando di uno studioso che non ha mai pubblicato un libro, ma che teneva testa a mostri sacri del calibro di Cartesio. Anche dopo la sua morte, la dimostrazione dell'ultimo teorema è sfuggita ai più grandi studiosi di sempre, per coronare invece la carriera di Andrew Wiles, altro umile matematico che ha lavorato sette anni nell'isolamento totale per riuscire a porre fine a questa sfida secolare. Un'esaltazione dell'umiltà dunque, della passione e del duro lavoro di ricerca che stanno dietro alle grandi conquiste scientifiche.

Consigliato a chi fa ricerca, come incoraggiamento a non avere paura davanti alle grandi sfide.

L'enigma di Fermat. Una sfida lunga tre secoli
Albert Violant i Holz
Collana Mondo matematico, RBA
Milano 2011
151 pagine

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Dracula


Uno dei grandi classici della letteratura mondiale, che ha ispirato adattamenti cinematografici, saghe, fantasie e paure di intere generazioni. E' impossibile infatti non sentirsi parte della caccia al vampiro più famoso di tutti i tempi, in una climax di emozioni e orrori.
Sei personaggi di eterogenea estrazione sociale e culturale stringono una fortissima amicizia vincolata dall'obiettivo comune di liberarsi del Conte Dracula, dando vita ad una task force internazionale (dalla Romania al Regno Unito) degna di un moderno poliziesco. La storia è ricostruita per mezzo di articoli di giornale, diari dei protagonisti e lettere, attraverso i quali Stoker dà prova di flessibilità narrativa, nonché di sconfinata bravura nell'adattare lo stile e il linguaggio al narratore. Tuttavia, questa caratteristica rende la lettura piuttosto complessa ed impegnativa, per il continuo variare del registro e l'uso di svariati dialetti non proprio facili da comprendere.
Oltre all'incalzare della trama, notevoli sono anche gli spunti di riflessione sociale e culturale, di cui è esempio eclatante la lotta tra pensiero razionale e fenomeni paranormali. Il dottor Van Helsing (reso popolare dal film omonimo a lui interamente dedicato), personaggio chiave della caccia a Dracula, trascorre molte ore a convincere lo scettico psichiatra suo allievo della veridicità dei fenomeni a cui assistono, e l'ironia di Stoker glielo fa fare utilizzando il metodo scientifico moderno, fatto di ipotesi, sperimentazione e verifica! Un gotico moderno dunque, l'ultimo del genere, gemma di perfetta fattura che congiunge il romanticismo al nascente positivismo.

Consigliato a chi ha fiducia totale nella scienza.

Dracula
Bram Stoker
Penguin Popular Classics
Londra 1994
449 pagine

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Il bar sotto il mare


Chi ama la letteratura in ogni genere non potrà non adorare 'Il bar sotto il mare', raccolta di racconti che omaggia la scrittura e tutte le sue forme. Un avventore si ritrova in un misterioso bar e lì ascolta le storie di ciascuno dei presenti, dalla Pulce del cane nero alla Bionda col vestito rosso. Eterogenei sono i narratori ed altrettanto variegati sono i modi in cui risplende la maestria di Stefano Benni. Dal noir all'epistolario, passando dalla mitologia alla fantascienza per arrivare al gotico, in un costante richiamo ai mostri sacri della narrativa.
Altrettanto diversi sono i temi trattati, ma il filo conduttore unico è la varietà: come in un circo umano, divino, animale e persino marziano tutti avranno la loro parte di spettacolo e il loro momento di gloria che metterà in risalto le proprie qualità, soprattutto le meno convenzionali. Scambiare diamanti per una bottiglia di chinotto produce effetti meno stravaganti che portare un bambino al cinema a vedere Bambi, per esempio. Così anche il più emarginato nelle nostre società ha il suo pregio, ciò che lo rende speciale agli occhi di qualcun altro.
E' un Benni dal multiforme ingegno, critico salace della realtà contemporanea ed alimentatore dei sogni necessari a superarla, che cotruisce un immortale caleidoscopio di sorrisi dolceamari, in cui la fine si fonde con l'inizio e con la necessità di narrare per esorcizzare.

Consigliato a chi ama la macedonia.

Nota personale: queste poche imperfette parole sono dedicate alla memoria di Rita Mastrapasqua, scomparsa prematuramente. Professoressa di italiano e di molte altre cose, ci regalò il dono dei libri ma soprattutto ci insegnò che non bisogna farsi meraviglia di niente.

Il bar sotto il mare
Stefano Benni
Feltrinelli
Milano 1987
196 pagine

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Diario di un killer sentimentale


Il facile gioco di parole nel titolo introduce immediatamente alla trama scontata: un killer, abbandonato dalla ragazza proprio mentre si appresta a svolgere l'ennesimo incarico, si trova coinvolto pericolosamente nella vita privata della sua vittima, ed inseguendolo ha l'occasione di ripensare alla propria, di vita, sia sentimentale che lavorativa. Dopo una serie di incidenti di percorso che lo costringono al prepensionamento, ha il coraggio di riprendere in mano la sua esistenza aggrappandosi a ciò che sa fare meglio: uccidere in modo lucido senza lasciare posto ai sentimentalismi di cui sopra.
Il racconto si inquadra alla perfezione nel genere noir, cavalcandone i topos e gli espedienti più classici; resta comunque una storia ben raccontata, degna del Sepùlveda grande narratore che padroneggia  linguaggio e tecnica per condurci in riflessioni e peripezie da un capo all'altro del mondo. Memorabile a tal proposito l'architettura della scena nel bazar turco, con il suo svolgimento perfettamente articolato: sensazioni, sentimenti e azioni sono esaltati dalle descrizioni  degli ambienti e dai tempi saggiamente scanditi.
La lettura è agevole forse anche in virtù della mancata suspense e fa godere al lettore poche piacevoli pagine nella convinzione di non restare deluso: dopo tanti viaggi in aereo e tanti errori commessi, un appostamento sotto la pioggia torrenziale nella torre di un bianco campanile messicano, è davvero l'unica degna fine.

Consigliato a chi ha un pomeriggio libero sotto l'ombrellone.

Diario di un killer sentimentale
Luis Sepùlveda
I libri della domenica
Il Sole 24 ORE
Parma 2011
72 pagine

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La spartizione


Nel piccolo paese di Luino, sulle rive del Lago Maggiore, Piero Chiara ambienta una storia piccante di ambizioni piccolo-borghesi e nobiltà decadute, che ha per protagoniste quattro figure di mezza età: tre sorelle non sposate di rara bruttezza e uno scapolo con la passione per le deformità. Simbolo dell'Italia anni '30, egli nasce contadino ed in virtù di una brutta ferita procuratasi nella Grande Guerra, ottiene un posto nella pubblica amministrazione che gli permette di costruirsi la fama di uomo rispettabile, anche grazie al contegno rigido e metodico. Il suo obiettivo è il matrimonio, e sceglie a tal fine la maggiore delle bigotte sorelle Tettamanzi, aprendosi così il varco nella loro bella casa e conquistando il dominio materiale su tutto, dai loro corpi ai loro pensieri. 
La vicenda è succulenta e perfettamente immersa nella mentalità e nelle atmosfere del paese, così come nel contesto storico di un fascismo emergente e di una rete sociale ecclesiastica controllante ma disposta a dimenticare pur di non creare scandali. Tuttavia Chiara non si perde dietro ai pettegolezzi, ma ne fa nascere una sorta di parabola umana, situata in un piccolo mondo chiuso in un tempo senza storia, a simboleggiare le debolezze e le passioni egoistiche che governano le azioni di ciascuno dei personaggi: nessuno agisce in modo disinteressato, è un lavorio continuo di calcoli e progetti più o meno onesti e rispettabili.
Pur essendo soltanto il suo secondo romanzo, nel 1964 -anno di pubblicazione- Piero Chiara è già nel pieno della sua maturità, e possiede un bagaglio di aneddoti ed esperienze tale da poter rappresentare in maniera organica e consapevole il suo mondo. Pregevole la scrittura asciutta, spesso pungente, ma soprattutto disincantata nei confronti delle innumerevoli ed infime sfumature che può assumere il comportamento umano.


Consigliato a chi cerca la persona giusta: magari ne trova tre!

La spartizione
Piero Chiara
Mondadori
Milano 1964
148 pagine

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Il seno


Una metamorfosi grottesca e totale coinvolge David Kepesh, professore di letteratura contemporanea, che tante volte e con tanta passione aveva tenuto lezioni su altre trasformazioni famose, da Kafka a Gulliver. Dopo averne ignorato i sintomi per settimane, al fine di non cadere per l'ennesima volta vittima della propria ipocondria, una crisi ormonale muta il suo corpo in un enorme seno femminile, cosciente ma quasi totalmente privo di sensi, rotondo da un lato e capezzoluto dall'altro.
Costretto dunque a vivere su un'amaca in una stanza d'ospedale, ripensa alla sua vita fino a quel momento, e ai principali personaggi che la animano: il padre noioso che ammazza il tempo, l'analista lucido con cui aveva da un pezzo finito le sedute, e la sua maestrina pudica dai seni pesanti, donna a cui è legato per desiderio di stabilità più che per passione.
Un cult dell'assurdo, brillante ed ironico, moderno nei dialoghi fitti e molto introspettivo, quasi una sceneggiatura di Woody Allen. Non trascurabile affatto è la componente sessuale, non solo perché il protagonista si tramuta in una tetta di 70 chili, ma perché la ricerca sfrenata del piacere è la prima pulsione di cui è preda nella sua nuova forma, l'istinto che scatena tutte le reazioni successive: incredulità, disperazione, accettazione, manie di grandezza, rabbia, vergogna, paranoia. La conclusione invece sta nella letteratura, scelta come espediente per sopravvivere; la poesia finale di Rainer Maria Rilke stigmatizza infatti l'idea fondamentale: per deviare il corso di una vita scialba occorre cambiare se stessi, e ci si renderà conto che non è necessaria nessun'altra metamorfosi.

Consigliato a chi pensa di condurre un'esistenza noiosa.

Il seno
Philip Roth
I libri della domenica
Il Sole 24 ORE
Milano 2011
76 pagine

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Il giorno della civetta


Quando un artista usa il proprio linguaggio espressivo per mettersi al servizio del sociale, allora bisogna inchinarsi e rendergli l'onore che merita. Questo è indubbiamente il caso di Leonardo Sciascia, che nel 1961 ebbe il coraggio di pubblicare con Einaudi un racconto -tale lo definì lui stesso- che denunciava in modo pacato ma fermo l'esistenza della mafia in Sicilia, negata invece dalla classe politica italiana dell'epoca.
La trama sembra ormai banale ai nostri occhi, tanti sono stati i successivi libri e film (per non parlare degli sceneggiati televisivi) sul tema: un Capitano dei Carabinieri  venuto dal nord si illude di risolvere una serie di crimini riconducibili alla malavita organizzata; viene per questo sollevato dall'incarico ma mantiene forte il proposito di tornare in Sicilia per continuare a lottare con onestà e abnegazione. Resta invece immutato nei decenni il valore artistico dell'opera, agile nella lettura, perfetta nelle dinamiche e nelle psicologie dei personaggi, esente da retoriche e ricca di atmosfere.
Ci si potrebbe chiedere che senso ha oggi una tale lettura, per noi che ormai siamo più che sensibilizzati a queste tematiche: ebbene, crediamo che abbia ancora più valore adesso che negli anni scorsi, perché ci scuote dalla banalità del male che abbiamo imparato sì a condannare, ma anche ad accettare. Paradossalmente, la mafia è ormai un'entità mitica, una sorta di 'cattivo nazionale' che sentiamo di dover combattere come il buco nell'ozono e il disboscamento selvaggio. Sciascia la mostra invece all'opera nel quotidiano, dove deve necessariamente stare la chiave per la sua risoluzione.

Consigliato agli idealisti.

Il giorno della civetta
Leonardo Sciascia
Adelphi La Nuova Italia
1993
199 pagine

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Grazie


L'irriverente fantasia di Daniel Pennac si inventa questo piacevolissimo testo teatrale e lo dedica al nostro Stefano Benni, quasi a sancire il patto di somiglianza tra i due nel far ridere e sorridere ma anche pensare. Qui la riflessione è breve e senza grandi pretese: un artista, nel ricevere un riconoscimento alla carriera, è chiamato ad intrattenere il pubblico per almeno 75 minuti, pena la perdita del premio. Anziché leggere un discorso di ringraziamento, si prende però scherzosamente gioco della giuria, del pubblico e soprattutto di se stesso. 
Abilissimo nel tratteggiare il protagonista del micro-copione (portato in scena da Claudio Bisio), Pennac ce lo rende subito simpatico, e ci immedesimiamo nella sua bonaria e sorniona ribellione a quelle regole sociali che ci obbligano a fare riverenza, soprattutto davanti a coloro cui non dobbiamo proprio nulla. Simbolicamente forte, a tal proposito, la scelta di far levare il sipario sul protagonista girato di spalle che si inchina davanti ad un pubblico immaginario, dando così la schiena (e il fondoschiena) al pubblico reale. Un tantino retorica invece la presenza del maestro delle elementari, come personaggio a cui non vuole dare niente e a cui forse deve molto; ma tutti abbiamo il diritto di avere scheletri nell'armadio, e viene il sospetto che queste poche pagine siano più autobiografiche di quanto vogliano far credere (si veda Chagrin d'école).
A proposito di autobiografia infine, un'ultima riflessione sul processo creativo e sul successo: dopo anni passati nell'ombra, il riconoscimento alla carriera viene letto dal protagonista come un invito a farsi da parte; sente così traballare la sua postura artificiosa e rigida tipica di uno che ha una mela in equilibrio sulla testa, ed è qui che dà il meglio di sé in un monologo brillante, impreziosito dal finale amaro e bellissimo che confonde opera, autore, premio e pubblico, con un gioco mirabile di luci e ombre. Il sipario è quasi una salvezza.

Consigliato a chi mi ringrazia per il consiglio.

Grazie
Daniel Pennac
Feltrinelli
Milano 2004
69 pagine

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Montedidio


Si può facilmente immaginare il motivo del successo di pubblico di questo libricino: poche pagine, poche righe per pagina, frasi sincopate e accattivanti che strizzano l'occhio alle grandi masse di lettori in cerca di emozioni. Se questo è saper scrivere, allora tanto di cappello. Ma se essere un narratore vuol dire proporre una storia che abbia qualcosa da raccontare, con proprietà di stile e personalità, allora evidentemente qualcosa manca a Montedidio.
Non bastavano il bambino lavoratore, il falegname saggio, la madre morta prematuramente, l'ebreo scampato all'olocausto, la ragazzina abusata in cambio dell'affitto, il padre dall'amore ruvido, il vecchio pedofilo (ebbene sì, c'è davvero tutto ciò, tutto insieme), a trasmettere quel trito senso di rivalsa sociale misto a buonismo: la banalità dei personaggi è degnamente affiancata da uno stile adolescenziale fatto di dialetto, anafore e punteggiatura demagogica; nei vostri diari segreti dell'epoca della rabbia giovane troverete probabilmente qualcosa di molto simile. Si potrebbe obiettare che, in effetti, la storia è scritta in prima persona proprio dal protagonista tredicenne, scugnizzo napoletano dal buon cuore, ma anche questa scelta narrativa appare soltanto un inutile carico ad appesantire la trama già piombata e prevedibile.
Si intravede persino una possibile interpretazione di senso in chiave religiosa, ma a quel punto si aprirebbe un baratro di simboli e messaggi criptici non sviluppati e nemmeno troppo originali, la cui accozzaglia fa quasi rabbia per quanto annoia: la disabilità come mezzo di riscatto, tanto per dirne uno (il protagonista ha un occhio buono ed uno che usa solo per guardare il cielo; l'ebreo invece, una gobba da cui escono le ali per volare a Gerusalemme). Insomma, poiché una trama avvincente non c'è, non resta che concentrarsi sui contenuti; peccato che di vangeli ce ne siano già tanti, e scritti meglio.

Consigliato a chi colleziona le frasi dei Baci Perugina: qui le trova tutte.

Montedidio
Erri De Luca
Feltrinelli
Milano 2001
142 pagine

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Luna? Sì, ci siamo andati!


Difficilmente si trova un saggio scritto in modo tanto chiaro e altrettanto organico, che non teme di affrontare un argomento in tutte le sue sfaccettature e lo rende comprensibile anche ai non addetti ai lavori. C'è da dire poi che il tema (spinoso e caotico sono eufemismi) è lo smascheramento di una delle più clamorose bufale dell'era moderna: il cosiddetto lunacomplottismo, che non ha una formulazione organica -e come potrebbe averla?- ma in sostanza nega o quantomeno scredita le missioni spaziali Apollo, che portarono per ben 6 volte l'uomo sulla luna.
Tra i meriti di Paolo Attivissimo (giornalista informatico e cacciatore di bufale, il cui cognome è tutto un programma) c'è una solida documentazione scientifica e tecnica che gli permette di introdurre il lettore nel mondo delle missioni spaziali, per farlo familiarizzare con la terminologia specifica e i dettagli operativi. Da qui poi dimostra che sulla luna ci siamo andati davvero, ed infine si prende la briga di confutare pazientemente tutte le più note e abusate obiezioni dei lunacomplottisti. Un'impostazione lodevole, che si fonda sul rispetto (per esempio separa i semplici disinformati dai recidivi che negano l'evidenza delle prove), e sul rigore: nella bibliografia è un piacere trovare uno degli storici libri di astrodinamica, correntemente studiato nelle università altamente specializzate in formazione aerospaziale. 
Insomma la conoscenza ci salverà dalla psicosi paranoica di perseguitati cronici: basta informarsi per non sentirsi vittime di un complotto internazionale (ed extraterrestre, a questo punto) che rinnega il fascino delle imprese compiute da uomini straordinari e la dignità di coloro che hanno sacrificato anche la propria vita per giungere tanto meravigliosamente lontano.

Consigliato a chi, dopo anni di studi, è costretto a sentire ogni tipo di baggianata che infanga sua professione.
Consigliato anche a chi vorrebbe dirne di meno, di balle spaziali. 

Luna? Sì, ci siamo andati!
Le risposte ai dubbi più frequenti sugli sbarchi lunari
Paolo Attivissimo
Edizione digitale aggiornata al 29 marzo 2011

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Matematici, spie e pirati informatici. Decodifica e crittografia


Non delude la seconda uscita della Collana Mondo matematico: usando la stessa ricetta della prima, presenta una panoramica storica del mondo della crittografia e delle codifiche, dal Codice di Polibio ai crittosistemi quantistici. Spiegazioni chiare alla portata di tutti, esempi numerici per facilitarne la comprensione (pur con qualche imprecisione), schede di approfondimento e appendice per chi non teme poche piccole dimostrazioni.
Un'altra occasione per dimostrare che la matematica è vicina alla vita quotidiana, anzi ne pervade e regola alcuni degli aspetti più cruciali e delicati, come la privacy ed il diritto alla segretezza. Interessante anche la contestualizzazione della crittografia nella storia, a sottolineare che le azioni di spionaggio e copertura dei segreti di stato non sono un gioco da Giovani Marmotte né da James Bond, ma sono state frutto di una intensa lotta tecnologica e politica tra crittografi (colo che inventavano nuovi codici) e crittanalisti (coloro che inventavano nuovi modi di penetrarli).
Il tema della segretezza e sicurezza delle informazioni è poi un'altra saggia scelta editoriale, poiché tocca un tasto dolente della nostra era: se ne parla di continuo, ma spesso in modo sommario o errato. Ecco dunque che alcuni termini e protocolli diventano più chiari ed assumono finalmente un significato reale ed utile. "E' personale. E' privato. E solo a te importa. Sia che stai organizzando una campagna elettorale, parlando delle tue tasse o avendo un'avventura. [...] C'è una crescente necessità sociale di privacy." E di conoscenza dei suoi strumenti, ci permettiamo di aggiungere alle parole di Phil Zimmermann.

Consigliato a chi ha qualcosa da nascondere, ma anche agli spioni.

Matematici, spie e pirati informatici. Decodifica e crittografia
Joan Gòmez Urgellés
Collana Mondo matematico, RBA 
Milano 2011
142 pagine

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Einstein al suo cuoco la raccontava così


La cosa meravigliosa della scienza è che può spiegare cose che nessuno ha bisogno di sapere. In effetti, che noi ne conosciamo o no i motivi, il sale dà sapidità ai cibi, le bibite gassate svaporano e i sughi bruciano se ci distraiamo. Però chissà quante volte cucinando si fanno gesti bizzarri dettati dalla tradizione, o ci si chiede il perché di certe consuetudini e di alcuni comportamenti di alimenti e bevande. Le risposte sono tutte in questo libretto, simpatico ed utile.
La suddivisione in capitoli tematici, le ricette proposte, il glossario, l'indice analitico e i suggerimenti bibliografici, lo rendono un manualetto abbastanza completo e di agevole consultazione, mentre l'abilità indiscussa della penna di Wolke (professore emerito di Chimica all'Università di Pittsburgh) ne fa un trattato di chimica spicciola, giocato sul difficile (e riuscito) equilibrio tra comprensione alla portata di tutti e rigore scientifico. Questo davvero il maggior pregio, supportato da uno stile sempre brillante e gaio, critico nei confronti degli usi consumistici, ma nemmeno accusatorio né nostalgico delle bistecche di brontosauro cotte sulla pietra calda. Notevole anche la traduzione di Folco Claudi e Adriana Giannini, che ci svelano i misteriosi retroscena di tacchini sacrificali e polli fritti, altrimenti per noi incomprensibili.
Dunque, prima di rotolare i limoni su un ripiano per spremerli al meglio, prima di scappare impauriti davanti ad un forno a microonde acceso, o anche prima di tentare di friggere un uovo al sole, state a sentire cosa ha da dirvi Einstein.

Consigliato a chi ha le pentole ma non trova i coperchi.

Einstein al suo cuoco la raccontava così
Robert L.Wolke
Feltrinelli
Milano 2010
264 pagine

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Addio alle armi


Romanzo popolarissimo e giustamente acclamato per la profonda umanità delle vicende e dei sentimenti trattati, tanto da ispirare tre diverse trasposizioni cinematografiche. Narra la disfatta e la disillusione di un giovane americano che parte per l'Italia come soldato volontario durante la Prima Guerra Mondiale, e vi trova una realtà molto meno eroica di quella che si aspettava. A poco serve l'intensa storia d'amore con l'infermiera inglese Catherine, che lo coinvolgerà e travolgerà in tutti i sensi.
Se è vero che i temi dominanti sono l'amore e la guerra, vi si trova comunque il nocciolo del modo di pensare di Hemingway: ispirandosi alle sue vicende autobiografiche dà vita ad un personaggio che lotta con tutte le sue forze ma che alla fine resta sopraffatto e svuotato di ogni sentimento, proprio quando doveva godersi la tanto agognata felicità. Restano comunque alla storia della letteratura i dialoghi struggenti, sublimi per il contrasto tra un amore giocoso e quasi bambino, e la drammatica pagina della storia del Novecento in cui tale sentimento prende vita: due innamorati attraversano indenni la Grande Guerra e si ritrovano in una Svizzera irreale di pace e silenzio, dove però la felicità presenta il suo crudele conto.
Una triste parabola umana, che tinge di amaro realismo ogni nostra azione, ma che suona come inno alla vita e all'amore. Anche se sappiamo che non ci può essere alcun lieto fine, val bene la pena di lottare per pochi innevati momenti di serenità. 

Consigliato a chi ha paura di amare.

Addio alle armi
Ernest Hemingway
Oscar Mondadori
1965
287 pagine

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La prova del miele



Occorre un buon motivo per iniziare a scrivere la propria storia, una scusa per mettere ordine nei ricordi e raggruppare gli anni di vita in ere. "a.P. e d.P.", prima e dopo aver conosciuto il Pensatore: una donna araba libera, acculturata e sposata, bibliotecaria a Parigi, ricostruisce e pubblica la propria vita segreta di sesso extraconiugale e letture proibite. L'occasione le viene offerta da un convegno cui deve presenziare come esperta -e lo è davvero- di letteratura erotica araba.
Finalmente un libro che non ha bisogno di fare denuncia, che tratteggia una cultura, una lingua e una società senza passare dalla scorciatoia della condizione femminile nel mondo islamico. La donna è qui piuttosto la prima utilizzatrice dell'uomo, è sempre pronta per la passione, conscia del proprio corpo e del miele che da esso stilla (se avete appena fatto un pensiero sconcio, avete pensato alla cosa giusta).
Sarebbe tuttavia uno spreco fermarsi ai racconti piccanti e agli spunti bibliografici di letteratura erotica. Tra le righe, neanche troppo nascosto, c'è il senso di una vita che viene soppesata e giudicata alla luce di buoni propositi di cambiamento: è stata spesa solo a rinnegare anima e sentimenti, ad inseguire il desiderio per il piacere del desiderio, fino al punto di stigmatizzare a mero ricordo sensualmente malinconico l'unica persona che aveva preteso di più. Il libro si conclude così, con l'ammissione di tale errore e la voglia di uscire allo scoperto in tutti i sensi, non solo alzando il sipario sulle letture erotiche a lungo celate come segreto. E se è vero che ce n'è almeno uno per ciascuno di noi, chi è il nostro Pensatore? E saremmo noi in grado di fornire la prova della dolcezza del miele?

Consigliato a chi ha paura di assaggiare la dolcezza della propria sessualità.

La prova del miele
Salwa Al-Neimi
Feltrinelli
Milano 2010
102 pagine

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Novecento


Uno dei romanzi più famosi e popolari di Baricco, con oltre un milione di copie vendute, nasce in realtà come monologo teatrale per l'attore Eugenio Allegri ed il regista Gabriele Vacis. Proprio a teatro debutta nel 1994, ma il suo seguito tra il pubblico è legato anche ad altre trasposizioni: la più famosa quella cinematografica per la regia di Giuseppe Tornatore, La leggenda del pianista sull'oceano. Simpatico anche l'adattamento a fumetto, uscito su Topolino. La storia infatti è molto densa di spunti, ed è comprensibile che abbia fornito materiale di lavoro a vari artisti, così come presenta una straordinaria ricchezza di temi di riflessione. 
Un libretto agile che si legge in una nottata, ma che lascia il segno, come tutte le storie didascaliche che si rispettino: narra la vita singolarissima di Danny Boodmann T.D. Lemon Novecento, nato a bordo della nave Virginian e lì cresciuto lontano da terra, facendo la spola tra America e Europa, e soprattutto suonando il pianoforte per i passeggeri e per se stesso. La musica come cifra di vita, emblema della sua presenza nel mondo: lui che non è mai stato registrato in alcuna anagrafe e probabilmente anche "arrivato lassù, quello che cerca il mio nome nella lista e non lo trova", è ovunque conosciuto e rispettato per il modo di suonare quelle sue note strane. La musica come strumento di conoscenza e condivisione, per lui che non è mai sbarcato eppure sa tutto del mondo: ascolta i passeggeri di terza classe, quelli che raccontano storie e cantano, e succhia vita ed esperienza da loro, accompagnandoli col pianoforte.
Il senso supremo della storia è giocato tutto sulla scaletta per scendere a terra, tre gradini che rappresentano l'eterna amletica lotta tra il vivere e il rinunciare a vivere: sbarcare e trovare il proprio posto nel mondo, oppure restare a bordo e cibarsi di surrogati di vita come unico modo di salvarsi dai desideri che strappano l'anima. E' questo il dilemma.

Consigliato infinite volte alla vigilia di ogni grande passo.

Novecento
Alessandro Baricco
Feltrinelli
Milano 1994
62 pagine

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Foravìa


Tre racconti, tre storie qualunque farcite di dettagli quotidiani e apparentemente banali. In realtà scavano buchi avanti e indietro nel tempo, da un luogo all'altro, attraverso sensazioni appuntite. Ci lasciano un senso di stupore e commozione profonda, ci toccano corde sconosciute e vergognose, è una catarsi delicatissima.
La piccola raccolta prende il nome dal primo racconto, una lunga lettera che narra un episodio ai limiti dell'assurdo: l'autore-protagonista sbaglia strada nel cuore di un bosco, passando così una notte surreale in cui tutto si rovescia. Il foravìa è dunque un fuori programma, una deviazione più o meno imprevista dalla corrente placida dell'ordinario; per taluni è un diversivo piacevole, per altri l'unico modo di vincere la pigrizia esistenzialista del quotidiano.
Il linguaggio metafisico e paranoico trasporta su un piano elevatissimo e di non comune fruizione quello che è il concetto fondamentale, innalzato sulla torre d'avorio nonostante la sua semplicità: sono le casualità e le deviazioni che determinano la meta. L'accidente categorizza l'ente, per dirla in modo difficile. Non è da tutti cogliere queste riflessioni nel trambusto quotidiano; Voltolini ce le restituisce invece in modi impensati: davanti una vetrina di formaggi, per esempio, o parlando con un ragno, o in una sala d'attesa in ospedale. Egli si avvale della sua acuta sensibilità di italiano 2.0, che si snoda attraverso sospetto, rispetto e solidarietà, e nasce dalla curiosità e dalla ricerca -o bisogno- del foravìa.

Consigliato a chi ha un perfetto senso dell'orientamento.

Foravìa
Dario Voltolini
Canguri Feltrinelli
Milano 2010
93 pagine

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Adieu mes jolies


Tre cadaveri di donne e una quantità impressionante di scheletri animali vengono trovati all'interno dell'improbabile "Institution des 421", scuola convitto per giovani ai bordi della società, sovvenzionata dall'invisibile dittatore del Tounangaka François N'golo N'golo, e guidata dall'altrettanto disadattato direttore Sam Spade, romanziere fallito che ha preso il nome da uno dei suoi personaggi mai pubblicati. Alix Alix -Alix per gli amici, Alix per i nemici- arriva a Sponge a cavallo di una falsa Harley Davidson e indaga per salvare la pelle ma soprattutto per conquistare la sua adorata Bella Bonifaci, gatta morta di dubbia nascita italiana che lo ha spedito in quel dimenticato angolo di Francia a cercare l'ombelico adamantino della statuetta d'argento di Santa Radegonda, promettendo in cambio amore eterno e faville.
Jean-Paul Nozière, Premio Brive-Montréal 1993 per l'insieme della sua opera, con la sicurezza dell'esperienza racconta senza fretta una storia succulenta a tratti paradossale, popolata di uomini assurdi di tutte le età, personaggi grotteschi ed inverosimili. Le donne, con rare eccezioni, sono morte o lontane, hanno ombelichi irraggiungibili e storie ancor meno verosimili, e così sono il motore primo di tutte le vicende.
Questo ammiccante poliziesco sulle note della Cumparsita si gioca sul confine tra vero e contraffatto, enfatizzando in modo iperbolico l'arbitrarietà di tale divisione: tutti i personaggi si avvalgono di pseudonimi, e tutti ammettono di non essere ciò che sembrano, ciascuno ha un trascorso di cui non vuole parlare e sta vivendo una ri-edizione di se stesso. Eppure non c'è niente di più vero dei loro nomi falsi, cioè di quelli che si sono scelti perché si sentivano addosso. Come nel tango, regna sovrano il rispetto delle intimità altrui, quasi a ribadire la sacralità e la magia dello spazio personale che è diritto di ciascuno. Amare una persona senza possederla del tutto, rinunciare a conoscere dettagli e segreti di chi interagisce con noi, dà valore aggiunto alle relazioni interpersonali, valore che sembra ormai perso nell'epoca dell'informazione globale.

Consigliato a chi possiede la macchina della verità.

Adieu mes jolies
Jean-Paul Nozière
Rat Noir, Syros
2007
213 pagine

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Une gourmandise (Una golosità) (Estasi culinarie)



Saputo di avere solo tre giorni da vivere, il re della critica gastronomica mondiale, inavvicinabile e temuto sul lavoro quanto in casa, si mette a letto nella sua lussuosa dimora parigina e sceglie l'ultima pietanza da mangiare, il sapore che vuole portarsi nella tomba. Egli sa che è qualcosa che ha già gustato anni addietro, un ricordo sensoriale che ora non riesce più ad afferrare, il sapore cruciale che darà senso e compimento alla sua intera esistenza. Da qui parte un gran carosello gastronomico diviso in capitoli, tematici sia per ricordi che per sapori. Forse un po' scolastica la scelta di alternarli con più brevi capitoli sui pensieri di familiari, amici e conoscenti, alla notizia dell'imminente morte di un personaggio così controverso e severo. 
Il romanzo d'esordio di Muriel Barbery ci introduce ai temi che meglio approfondirà nel successivo L'eleganza del riccio: la vacuità delle convenzioni e delle sovrastrutture sociali nel mondo della borghesia placcata d'oro. Lo fa con genuinità e timidezza, palpabili nell'entusiasmo di ogni pagina. Il cibo è descritto in modo solenne e accuratamente realista ed omaggia le tradizioni culinarie sia casalinghe che esotiche, ripercorrendo le tappe personali e professionali del protagonista, dal pomodoro quasi sfatto dal sole nell'orto della zia, al pane magrebino delle vacanze, passando per il sushi prezioso della sua fama mondiale.
Il sapore finale, la delizia del titolo (o almeno del titolo francese) è un autentico colpo di genio, che spedisce la Barbery nel novero degli autori che sanno scrivere e soprattutto hanno qualcosa da dire.

Nota: in Italia è stato pubblicato nel 2001 da Garzanti con il titolo Una golosità, e nel 2008 da Edizioni e/o, in seguito al successo di L'eleganza del riccio (2007) della stessa casa editrice. 
Vincitore del Prix du Meilleur Livre de Littérature gourmande 2000.

Consigliato a chi ha sempre fame. (E chi non ne ha?)

Une gourmandise
Muriel Barbery
Folio, Editions Gallimard
Paris 2000
165 pagine

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Eva contro Eva


Nel 1951 la S.a.S. (Società Apostolato Stampa) San Paolo commissionò a Carola Prosperi la trasposizione letteraria di una serie di film di successo, ad uso di coloro che il cinema non potevano permetterselo e che avrebbero tratto beneficio dagli insegnamenti in essi contenuti. In questo contesto si colloca in modo brillante Eva contro Eva: non ricalca banalmente il film, ma lo completa proponendo dettagli ed antefatti interessanti e ben collocati. Onore al merito della scrittrice torinese, poiché non era certo compito facile data la levatura della pellicola ed i suoi temi scabrosi, almeno per l'epoca.
Si narra l'ascesa di una giovane stella che scalza con metodi non proprio ortodossi l'allora prima donna di Broadway, insinuandosi nella sua vita privata e nella sua carriera teatrale dapprima come timida ammiratrice, poi come segretaria, infine come sfrontata rivale. La trama piuttosto lineare e la narrazione schietta danno risalto per contrasto al baratro pauroso che si apre sull'animo femminile, capace di dissimulare i propositi più malvagi con modi melliflui e occhioni da cerbiatta.
Come tutto ciò sia passato attraverso il setaccio della morale cattolica insieme a Giovanna D'Arco e al Mago di Oz, resta tuttora un quesito interessante. Noi ci limitiamo a godere di una lettura piacevole dal gusto un po' retrò, per immortalare il film su carta, o anche solo per invogliare alla visione coloro ai quali fosse sfuggito questo grande classico.

Consigliato agli uomini, come libretto delle avvertenze.

Carola Prosperi
Eva contro Eva
Sellerio editore
Palermo 2002
136 pagine

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Tristano muore


Nella dimensione onirica tra sonno, morte e morfina, non è facile tirare le somme di una vita: già sarebbe difficile raccontarne la catena dei fatti; dare un senso a ciascuno di essi sembra poi quasi impossibile. In punto di morte, Tristano trascorre il suo ultimo mese di vita a narrare le proprie vicende e memorie ad uno scrittore chiamato appositamente al suo capezzale. Una vita da eroe della patria, a quanto pare, ma cosa resta alla fine? 
La storia di un uomo ma anche la storia di un secolo, ripercorsa attraverso luoghi eventi donne e citazioni per palati fini. Un Tabucchi elevatissimo che non cede mai alla tentazione della retorica, dipinge paesaggi mantenendo viva la tensione narrativa e scende negli anfratti più oscuri dell'anima -in salute e in malattia- ed è capace di uscirne incontaminato. Prelibata e riuscitissima la commistione fra il protagonista, il narratore morente, lo scrittore e il lettore: chi testimonia per il testimone? Il dibattito è aperto su tutto, non si salva niente, e una pagina dopo l'altra crollano i miti di una vita e del Novecento.
Con la cattiveria della vecchiaia e il cinismo di chi ha vissuto tutto e tutto sta per lasciare, il vecchio Tristano mette a nudo gli errori di un secolo, ma è in ritardo per pentirsi dei propri, senza giudizio né necessità di assoluzione. Nessun commento dogmatico su Storia né storie, poiché la narrazione è essa stessa interpretazione: chiedere ad uno scrittore di pubblicare la propria vita vuol dire lasciare ai posteri l'onere della sentenza. Illusi noi che lo consideriamo un onore e continuiamo ad accorrere al suo capezzale.

Consigliato a chi non teme di mettersi in discussione.

Tristano muore
Antonio Tabucchi
Feltrinelli
Milano 2004
162 pagine

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Andare avanti guardando indietro


Prendete un boccale di birra (che probabilmente è l'inchiostro con cui è stato scritto il libro) ed accomodatevi: scorre che è un piacere! Se siete profani della palla ovale avrete modo di apprenderne i rudimenti, ma se siete già esperti avrete comunque una buona occasione per apprezzarne la filosofia.
I Due Fratelli ci accompagnano in un viaggio nel fango e nella fatica, ed è divertentissimo leggere parole tanto gentili e profonde ed immaginarle scritte da quelle montagne di muscoli con le orecchie a cavolfiore ed il naso storto dalle 'legnate' ricevute. Non si parla solo della vita in campo o degli aneddoti (peraltro spassosissimi) di una intera famiglia di rugbisti, ma di come educare i ragazzi al rispetto di se stessi e delle regole, all'umiltà, al sacrificio e al gioco di squadra. La partecipazione del Dott. Rampin assicura infatti la lettura in chiave psicologica, e fa assurgere il rugby a metafora di vita. 
Sono innegabili i molteplici aspetti positivi di questo sport da gentiluomini, ma sospettiamo che qualsiasi sportivo sarebbe in grado di scrivere pagine altrettanto lusinghiere sulla propria passione (o professione). Tuttavia comprendiamo le esigenze commerciali di questo libro fatto uscire a ridosso del Sei Nazioni, in un Paese dove si vive in funzione del novantesimo minuto: ogni tanto fa bene ascoltare voci che raccontano storie diverse e propongono realtà alternative di sport e divertimento.
Infine, una nota doverosa sulla presenza delle donne nel libro: i fratelli Bergamasco hanno piena coscienza di esercitare un forte appeal sul sesso debole, e ne analizzano con disinvoltura i motivi; uno su tutti: il cuor gentile dietro i muscoli -tanti muscoli-, che permette loro di menarsi botte da orbi per portare in meta la palla ovale, nascosta e protetta nell'incavo del braccio.

Consigliato a chi pensa che la Terra sia sferica.
Consigliato alle donne, per stimolare ottimi sogni.

Andare avanti guardando indietro
Mauro e Mirco Bergamasco con Matteo Rampin
Ponte alle Grazie
Milano 2011
157 pagine

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