Il giorno della civetta


Quando un artista usa il proprio linguaggio espressivo per mettersi al servizio del sociale, allora bisogna inchinarsi e rendergli l'onore che merita. Questo è indubbiamente il caso di Leonardo Sciascia, che nel 1961 ebbe il coraggio di pubblicare con Einaudi un racconto -tale lo definì lui stesso- che denunciava in modo pacato ma fermo l'esistenza della mafia in Sicilia, negata invece dalla classe politica italiana dell'epoca.
La trama sembra ormai banale ai nostri occhi, tanti sono stati i successivi libri e film (per non parlare degli sceneggiati televisivi) sul tema: un Capitano dei Carabinieri  venuto dal nord si illude di risolvere una serie di crimini riconducibili alla malavita organizzata; viene per questo sollevato dall'incarico ma mantiene forte il proposito di tornare in Sicilia per continuare a lottare con onestà e abnegazione. Resta invece immutato nei decenni il valore artistico dell'opera, agile nella lettura, perfetta nelle dinamiche e nelle psicologie dei personaggi, esente da retoriche e ricca di atmosfere.
Ci si potrebbe chiedere che senso ha oggi una tale lettura, per noi che ormai siamo più che sensibilizzati a queste tematiche: ebbene, crediamo che abbia ancora più valore adesso che negli anni scorsi, perché ci scuote dalla banalità del male che abbiamo imparato sì a condannare, ma anche ad accettare. Paradossalmente, la mafia è ormai un'entità mitica, una sorta di 'cattivo nazionale' che sentiamo di dover combattere come il buco nell'ozono e il disboscamento selvaggio. Sciascia la mostra invece all'opera nel quotidiano, dove deve necessariamente stare la chiave per la sua risoluzione.

Consigliato agli idealisti.

Il giorno della civetta
Leonardo Sciascia
Adelphi La Nuova Italia
1993
199 pagine

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Grazie


L'irriverente fantasia di Daniel Pennac si inventa questo piacevolissimo testo teatrale e lo dedica al nostro Stefano Benni, quasi a sancire il patto di somiglianza tra i due nel far ridere e sorridere ma anche pensare. Qui la riflessione è breve e senza grandi pretese: un artista, nel ricevere un riconoscimento alla carriera, è chiamato ad intrattenere il pubblico per almeno 75 minuti, pena la perdita del premio. Anziché leggere un discorso di ringraziamento, si prende però scherzosamente gioco della giuria, del pubblico e soprattutto di se stesso. 
Abilissimo nel tratteggiare il protagonista del micro-copione (portato in scena da Claudio Bisio), Pennac ce lo rende subito simpatico, e ci immedesimiamo nella sua bonaria e sorniona ribellione a quelle regole sociali che ci obbligano a fare riverenza, soprattutto davanti a coloro cui non dobbiamo proprio nulla. Simbolicamente forte, a tal proposito, la scelta di far levare il sipario sul protagonista girato di spalle che si inchina davanti ad un pubblico immaginario, dando così la schiena (e il fondoschiena) al pubblico reale. Un tantino retorica invece la presenza del maestro delle elementari, come personaggio a cui non vuole dare niente e a cui forse deve molto; ma tutti abbiamo il diritto di avere scheletri nell'armadio, e viene il sospetto che queste poche pagine siano più autobiografiche di quanto vogliano far credere (si veda Chagrin d'école).
A proposito di autobiografia infine, un'ultima riflessione sul processo creativo e sul successo: dopo anni passati nell'ombra, il riconoscimento alla carriera viene letto dal protagonista come un invito a farsi da parte; sente così traballare la sua postura artificiosa e rigida tipica di uno che ha una mela in equilibrio sulla testa, ed è qui che dà il meglio di sé in un monologo brillante, impreziosito dal finale amaro e bellissimo che confonde opera, autore, premio e pubblico, con un gioco mirabile di luci e ombre. Il sipario è quasi una salvezza.

Consigliato a chi mi ringrazia per il consiglio.

Grazie
Daniel Pennac
Feltrinelli
Milano 2004
69 pagine

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Montedidio


Si può facilmente immaginare il motivo del successo di pubblico di questo libricino: poche pagine, poche righe per pagina, frasi sincopate e accattivanti che strizzano l'occhio alle grandi masse di lettori in cerca di emozioni. Se questo è saper scrivere, allora tanto di cappello. Ma se essere un narratore vuol dire proporre una storia che abbia qualcosa da raccontare, con proprietà di stile e personalità, allora evidentemente qualcosa manca a Montedidio.
Non bastavano il bambino lavoratore, il falegname saggio, la madre morta prematuramente, l'ebreo scampato all'olocausto, la ragazzina abusata in cambio dell'affitto, il padre dall'amore ruvido, il vecchio pedofilo (ebbene sì, c'è davvero tutto ciò, tutto insieme), a trasmettere quel trito senso di rivalsa sociale misto a buonismo: la banalità dei personaggi è degnamente affiancata da uno stile adolescenziale fatto di dialetto, anafore e punteggiatura demagogica; nei vostri diari segreti dell'epoca della rabbia giovane troverete probabilmente qualcosa di molto simile. Si potrebbe obiettare che, in effetti, la storia è scritta in prima persona proprio dal protagonista tredicenne, scugnizzo napoletano dal buon cuore, ma anche questa scelta narrativa appare soltanto un inutile carico ad appesantire la trama già piombata e prevedibile.
Si intravede persino una possibile interpretazione di senso in chiave religiosa, ma a quel punto si aprirebbe un baratro di simboli e messaggi criptici non sviluppati e nemmeno troppo originali, la cui accozzaglia fa quasi rabbia per quanto annoia: la disabilità come mezzo di riscatto, tanto per dirne uno (il protagonista ha un occhio buono ed uno che usa solo per guardare il cielo; l'ebreo invece, una gobba da cui escono le ali per volare a Gerusalemme). Insomma, poiché una trama avvincente non c'è, non resta che concentrarsi sui contenuti; peccato che di vangeli ce ne siano già tanti, e scritti meglio.

Consigliato a chi colleziona le frasi dei Baci Perugina: qui le trova tutte.

Montedidio
Erri De Luca
Feltrinelli
Milano 2001
142 pagine

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Luna? Sì, ci siamo andati!


Difficilmente si trova un saggio scritto in modo tanto chiaro e altrettanto organico, che non teme di affrontare un argomento in tutte le sue sfaccettature e lo rende comprensibile anche ai non addetti ai lavori. C'è da dire poi che il tema (spinoso e caotico sono eufemismi) è lo smascheramento di una delle più clamorose bufale dell'era moderna: il cosiddetto lunacomplottismo, che non ha una formulazione organica -e come potrebbe averla?- ma in sostanza nega o quantomeno scredita le missioni spaziali Apollo, che portarono per ben 6 volte l'uomo sulla luna.
Tra i meriti di Paolo Attivissimo (giornalista informatico e cacciatore di bufale, il cui cognome è tutto un programma) c'è una solida documentazione scientifica e tecnica che gli permette di introdurre il lettore nel mondo delle missioni spaziali, per farlo familiarizzare con la terminologia specifica e i dettagli operativi. Da qui poi dimostra che sulla luna ci siamo andati davvero, ed infine si prende la briga di confutare pazientemente tutte le più note e abusate obiezioni dei lunacomplottisti. Un'impostazione lodevole, che si fonda sul rispetto (per esempio separa i semplici disinformati dai recidivi che negano l'evidenza delle prove), e sul rigore: nella bibliografia è un piacere trovare uno degli storici libri di astrodinamica, correntemente studiato nelle università altamente specializzate in formazione aerospaziale. 
Insomma la conoscenza ci salverà dalla psicosi paranoica di perseguitati cronici: basta informarsi per non sentirsi vittime di un complotto internazionale (ed extraterrestre, a questo punto) che rinnega il fascino delle imprese compiute da uomini straordinari e la dignità di coloro che hanno sacrificato anche la propria vita per giungere tanto meravigliosamente lontano.

Consigliato a chi, dopo anni di studi, è costretto a sentire ogni tipo di baggianata che infanga sua professione.
Consigliato anche a chi vorrebbe dirne di meno, di balle spaziali. 

Luna? Sì, ci siamo andati!
Le risposte ai dubbi più frequenti sugli sbarchi lunari
Paolo Attivissimo
Edizione digitale aggiornata al 29 marzo 2011

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Matematici, spie e pirati informatici. Decodifica e crittografia


Non delude la seconda uscita della Collana Mondo matematico: usando la stessa ricetta della prima, presenta una panoramica storica del mondo della crittografia e delle codifiche, dal Codice di Polibio ai crittosistemi quantistici. Spiegazioni chiare alla portata di tutti, esempi numerici per facilitarne la comprensione (pur con qualche imprecisione), schede di approfondimento e appendice per chi non teme poche piccole dimostrazioni.
Un'altra occasione per dimostrare che la matematica è vicina alla vita quotidiana, anzi ne pervade e regola alcuni degli aspetti più cruciali e delicati, come la privacy ed il diritto alla segretezza. Interessante anche la contestualizzazione della crittografia nella storia, a sottolineare che le azioni di spionaggio e copertura dei segreti di stato non sono un gioco da Giovani Marmotte né da James Bond, ma sono state frutto di una intensa lotta tecnologica e politica tra crittografi (colo che inventavano nuovi codici) e crittanalisti (coloro che inventavano nuovi modi di penetrarli).
Il tema della segretezza e sicurezza delle informazioni è poi un'altra saggia scelta editoriale, poiché tocca un tasto dolente della nostra era: se ne parla di continuo, ma spesso in modo sommario o errato. Ecco dunque che alcuni termini e protocolli diventano più chiari ed assumono finalmente un significato reale ed utile. "E' personale. E' privato. E solo a te importa. Sia che stai organizzando una campagna elettorale, parlando delle tue tasse o avendo un'avventura. [...] C'è una crescente necessità sociale di privacy." E di conoscenza dei suoi strumenti, ci permettiamo di aggiungere alle parole di Phil Zimmermann.

Consigliato a chi ha qualcosa da nascondere, ma anche agli spioni.

Matematici, spie e pirati informatici. Decodifica e crittografia
Joan Gòmez Urgellés
Collana Mondo matematico, RBA 
Milano 2011
142 pagine

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Einstein al suo cuoco la raccontava così


La cosa meravigliosa della scienza è che può spiegare cose che nessuno ha bisogno di sapere. In effetti, che noi ne conosciamo o no i motivi, il sale dà sapidità ai cibi, le bibite gassate svaporano e i sughi bruciano se ci distraiamo. Però chissà quante volte cucinando si fanno gesti bizzarri dettati dalla tradizione, o ci si chiede il perché di certe consuetudini e di alcuni comportamenti di alimenti e bevande. Le risposte sono tutte in questo libretto, simpatico ed utile.
La suddivisione in capitoli tematici, le ricette proposte, il glossario, l'indice analitico e i suggerimenti bibliografici, lo rendono un manualetto abbastanza completo e di agevole consultazione, mentre l'abilità indiscussa della penna di Wolke (professore emerito di Chimica all'Università di Pittsburgh) ne fa un trattato di chimica spicciola, giocato sul difficile (e riuscito) equilibrio tra comprensione alla portata di tutti e rigore scientifico. Questo davvero il maggior pregio, supportato da uno stile sempre brillante e gaio, critico nei confronti degli usi consumistici, ma nemmeno accusatorio né nostalgico delle bistecche di brontosauro cotte sulla pietra calda. Notevole anche la traduzione di Folco Claudi e Adriana Giannini, che ci svelano i misteriosi retroscena di tacchini sacrificali e polli fritti, altrimenti per noi incomprensibili.
Dunque, prima di rotolare i limoni su un ripiano per spremerli al meglio, prima di scappare impauriti davanti ad un forno a microonde acceso, o anche prima di tentare di friggere un uovo al sole, state a sentire cosa ha da dirvi Einstein.

Consigliato a chi ha le pentole ma non trova i coperchi.

Einstein al suo cuoco la raccontava così
Robert L.Wolke
Feltrinelli
Milano 2010
264 pagine

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