Bridget Jones's diary


In tempi non sospetti (addirittura nello scorso millennio) Helen Fielding già disegnava senza retorica il ritratto di una generazione di donne che vale la pena rispolverare. Ha inoltre ispirato un fortunato adattamento per il grande schermo ed un sequel (Che pasticcio, Bridget Jones!), sia letterario che cinematografico. 
Narra con freschezza come una single trentenne si districa tra il conflittuale rapporto con la generazione materna, il desiderio di affermarsi come giornalista, le goffaggini amorose e le sue piccole manie: controllo del peso, alcool, sigarette. Accattivante e divertente dalla prima all'ultima pagina, pur senza colpi di scena nella trama ispirata deliberatamente ad Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen: inizialmente intrigata da un amore avventuroso e disordinato, la protagonista opta infine per una scelta più matura ed appagante. 
Ne diamo una lettura che immaginiamo essere impopolare, difendendo da un lato l'indipendenza della donna  e la legittimità del suo diritto di affermarsi socialmente e professionalmente, ma dall'altro anche la necessità di rispettare le dinamiche istintive insite nel rapporto di coppia uomo-donna. Dinamiche già vissute dalle nostre madri e nonne, che ci si ostina a rinnegare ma che sono pur sempre collaudate da secoli. Difatti, il tentativo disperato della disorientata Bridget di affermare la propria emancipazione si infrange contro il tradizionalismo dei consigli della madre, che si riveleranno gli unici vincenti per conquistare l'uomo ambito. Lo spettro di essere 'zitella' che la perseguita  ci fa sorridere perché accomuna le donne di tutti i tempi, e per una volta qualcuna lo ammette senza isterismi né drammi.

Consigliato alle zitelle isteriche. Scusate: alle single emancipate.

Bridget Jones's diary
Helen Fielding
Picador, Pan Macmillan
Londra 1996

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